Rassegna stampa

Gli articoli usciti sui giornali e le news su MoRe Impresa Festival


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Voglia di innovare e partecipare. È stato anche questo MoRe Hack, il primo hackathon rivolto ai giovani studenti della provincia di Modena e Reggio Emilia per offrire nuovi spunti ed idee alle imprese e al piccolo commercio.

I vincitori

A vincere, un progetto volto al rilancio economico del centro storico.
La giuria, composta da imprenditori e funzionari Lapam oltre che dal Pro Rettore di Unimore, il professor Gianluca Marchi e da Marcella Gubitosa cofondatrice di Stars & Cows, ha infatti premiato tra i sei gruppi di under 35 partecipanti ‘Famar’, gruppo composto da Matteo Righi, Alessandra Caresani, Sergiu Dumbrava, Andrea Pradelli e Franco Pradelli, che ha elaborato un progetto basato su una app chiamata Rientro. L’idea è di promuovere il risparmio per gli acquisti nei negozi del centro storico con sistemi di incentivi, cashback e tramite il meccanismo del passaparola e del feedback, supportando l’impresa. Il team di Rientro, attraverso l’utilizzo dell’app, raccoglie inoltre dati statistici utili alla profilazione dei clienti e degli esercenti, fungendo da generatore di informazioni per enti pubblici, cittadini e privati.

Ma, in parole povere, cosa hanno fatto i circa 40 partecipanti all’hackaton Lapam?
I ragazzi, per la maggior parte studenti Unimore, hanno avuto 12 ore di tempo in due giorni durante le quali tra brainstorming e caffe, hanno sviluppato idee e creato presentazioni da esporre alla giuria. Due i temi: il rilancio del centro storico, appunto, e il networking tra imprese.

L’idea

L’hackathon è infatti un format diffuso negli Stati Uniti e che sta prendendo sempre più piede anche in Italia dove ragazzi e studenti suddivisi in gruppi si sfidano rispondendo a uno o più temi con progetti e idee.

La giuria sui è basata su quattro criteri: utilità e valore del progetto; attinenza agli obiettivi proposti; creatività, sostenibilità e innovatività; chiarezza e completezza della presentazione.

Il segretario Lapam, Carlo Alberto Rossi, chiosa: “Oggi gli hackathon possono essere non soltanto un driver per l’innovazione ma anche un’esperienza altamente formativa per i ragazzi, permettono infatti di allenare le soft skills, sempre più richieste nel mondo del lavoro. Queste competenze consistono nel saper comunicare in modo efficace, lavorare in team oltre che rispondere positivamente allo stress. La scommessa di realizzare un hackaton durante il MoRe Impresa Festival e dar modo ai giovani di esprimere idee e creatività, si è rivelata vincente”.

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Non sono d’accordo, con lo status quo. Non sono d’accordo, con chi rimane a guardare. Non sono d’accordo, con chi pensa di fare tutto da solo. Non sono d’accordo, con chi ha paura di mettersi in gioco. Non sono d’accordo, con chi sta seduto sul divano e non viene a More Impresa Festival a capire come fare a migliorare il nostro paese.

“Eureka!” ha gridato Archimede quando è entrato nella vasca da bagno e ha scoperto che l’acqua si era alzata. Archimede aveva capito che in questo modo si può riuscire a misurare precisamente il volume di qualsiasi oggetto. Si narra che per la gioia di condividere questa scoperta si mise a correre nudo per le strade di Siracusa.

Questo aneddoto ci insegna che dobbiamo essere sempre all’erta perché la scoperta può avvenire in qualsiasi momento e che la scoperta non ha valore se non è condivisa. Ora qualcuno potrebbe pensare alle ragioni per cui Archimede, che aveva fatto centinaia di bagni prima di quello in cui ha fatto quella scoperta, abbia creato quella nuova connessione proprio in quel momento. In realtà questa è una domanda a cui non avremo mai risposta, quello che sappiamo è che Eureka significa “ho trovato” perché Archimede era costantemente alla ricerca di problemi che non erano ancora stati risolti.

Il Design Thinking ci insegna come fare a capire in profondità i problemi da affrontare attraverso la ricerca, l’osservazione della realtà e la comprensione profonda dei bisogni dell’uomo e trovare le soluzioni tramite prototipi che ci consentano di apprendere rapidamente ciò che funziona rispetto a quanto abbiamo realizzato.

La lingua dell’innovazione

Questo processo, che parte dallo stupore di riconoscere e accettare una questione che ad un certo punto ci viene posta davanti (che è l’etimologia della parola problema, dal greco PRO avanti e BLEMA getto, colpo), unisce molteplici prospettive per comprenderla appieno e trova una soluzione che genera valore per le persone, è considerato la lingua dell’innovazione.

Se sei un imprenditore, un creativo, un innovatore o semplicemente stai cercando un modo per cambiare le cose allora il Design Thinking fa per te. Ti insegna a mettere in dubbio lo status quo, a considerare più informazioni, a formare un gruppo di lavoro integrando le diverse prospettive e a ingaggiarlo nella sfida che l’innovazione ci pone.

L’Italia è un paese ricco di tradizioni, ma se la tradizione è un’innovazione che ha avuto successo, allora è un paese che è ricco di persone che innovano. Se sei un imprenditore, un creativo, un innovatore o anche tu pensi fuori dal coro, ci vediamo sabato alle 10 al More Impresa Festival!

Matteo Vignoli
Ricercatore in Ingegneria Gestionale presso l’Università di Bologna e l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

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Il Business Model Canvas (BMC) è uno strumento progettato circa 10 anni fa da Alexander Osterwalder e Yves Pigneur ed è uno dei tool più utilizzati nell’ambito della consulenza strategica.
Il nome del BMC ne descrive efficacemente l’idea di fondo; infatti se la parola “tela” è la traduzione letterale del termine inglese “canvas” e richiama l’immagine del pittore che dipinge un quadro, il BMC è lo strumento su cui l’imprenditore raffigura la logica alla base delle attività svolte dalla propria impresa. Partendo da questa riflessione quindi, lo strumento acquisisce una funzione chiara e precisa che nell’ultimo decennio anni ha portato imprenditori, startup e consulenti ad utilizzarlo come principale ausilio alla presentazione dei rispettivi progetti d’impresa.

A differenza di strumenti tradizionali utilizzati per lo stesso scopo come ad esempio il business plan, la cui preparazione richiede un lavoro di dettaglio che spesso lo rende obsoleto prima ancora di essere stato completato, il Business Model Canvas facilita la rapida condivisione di visioni diverse riguardo gli aspetti più importanti (identificati dalle 9 “stanze” che compongono lo strumento) che caratterizzano l’operare di un’azienda e consente di visualizzare tali aspetti all’interno di un unico foglio.

Una visione di insieme immediata

Le caratteristiche che hanno reso questo strumento tanto famoso e utilizzato sono da ricercarsi nella sua capacità di mettere in risalto gli aspetti più importanti che caratterizzano un’iniziativa imprenditoriale mantenendo però una visione d’insieme sul progetto che si va a raffigurare.

Da un lato infatti il BMC consente di analizzare il mercato e le dinamiche che legano i prodotti servizi di un’azienda ai bisogni dei suoi clienti, dall’altro invece consente di approfondire le dinamiche aziendali legate alla realizzazione di tali prodotti e servizi.

Vien da sé che l’utilizzo di questo strumento non è scontato e il fatto che la semplicità sia una delle caratteristiche più importanti che il BMC si porta dietro fa comprendere come la sua corretta applicazione sia più complicata di quanto non ci si aspetti. D’altra parte, questa tela può essere una grande risorsa per ogni azienda, a prescindere dal settore in cui essa opera, che voglia implementare nuove strategie, accedere a nuovi mercati e realizzare nuovi prodotti e servizi. Inoltre, la fase di grandi cambiamenti portati dall’Industria 4.0 fornisce una ulteriore opportunità per gli imprenditori che vogliono capire come l’introduzione delle tecnologie digitali può incidere sulle attività e sulla struttura delle loro aziende.

Per queste ragioni e per tante altre che scoprirete venerdì 13 dicembre, vi invitiamo a partecipare al workshop “Disegnare il proprio business. Usare il Business model canvas per fare impresa” tenuto da Leonello Trivelli che vi guiderà tra le stanze del Business Model Canvas sulla base della sua esperienza di ricercatore, consulente e imprenditore all’interno di Declar l’agenzia di comunicazione e marketing di cui è socio fondatore.

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L’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena, la sede della maggior parte degli eventi del festival, è un luogo poco conosciuto ai più, ma ricco di fascino e dalla storia antica. Tra i suoi soci (tutti rintracciabili sul sito dell’ente) figurano nomi del calibro di Ludovico Antonio Muratori, Giosuè Carducci, Alessandro Manzoni, Giuseppe Verdi e più recentemente il maestro Riccardo Muti.
Riprendiamo alcuni dei suoi passaggi dal sito dell’ente:

“Nata dalla richiesta dei cittadini di Modena, che si presentarono agli inizi del 1600 ai conservatori del Comune per richiedere che nella città fosse restituita l’Università e istituita un’Accademia, rappresenta la continuazione dell’antica Accademia dei Dissonanti.

Al primo progetto, intorno al 1680, si dice ad opera di un sacerdote della Congregazione della Beata Vergine e di S. Carlo, il teologo don Dario Sangiovanni, seguì una concentrazione organizzativa tra il 1681 e il 1683, quando si unirono al Sangiovanni, quali promotori, il marchese Bonifazio Rangoni, il conte Pirro Graziani e il francescano cartesiano Michelangiolo Fardella. Nel 1684-86 iniziò la sua attività […].

Il simbolo e il motto

Prima del 1682 l’Accademia molto probabilmente esisteva con la semplice denominazione di Accademia di Modena. Dopo che aveva iniziato la sua attività, essa discusse nelle riunioni del 21 Febbraio e del 13 Marzo 1684 delle costituzioni e dell’“Impresa” nonché della denominazione. Fra le varie proposte fu presentata anche quella di dotare l’Accademia di un simbolo che rappresentasse l’armonia nella varietà degli accordi. Perciò gli accademici di Modena furono detti ‘Dissonanti’ con il motto “Digerit in numerum dissonantes”, per interpretare l’armonia nella norma.

Nel centro dell’emblema un’aquila sovrasta una corona di alloro e fiancheggia rami di palma e le pende dal collo una cetra: il simbolo ricorda la tutela estense sulla istituzione. L’emblema originario fu poi modificato con l’inserzione delle prerogative ducali, ma quello che appare nella sala delle adunanze dell’Accademia l’antico emblema seicentesco nella forma primitiva.

Il periodo napoleonico

In periodo napoleonico l’attività venne allargata anche alle arti meccaniche.
Personaggi di rango e letterati di lontani paesi richiesero di essere aggregati. Inoltre l’Accademia dei Peloritani di Messina chiese di avviare corrispondenza con l’Accademia di Modena e nel 1728 seguì l’aggregazione fra le due Accademie. Ne fu artefice Ludovico Antonio Muratori. Negli statuti del 1817, 1826, 1841 il nome dell’Ente diviene: “Reale Accademia di Scienze Lettere e Arti”. Il titolo reale sostituisce quello ducale per le prerogative attribuite a Francesco IV d’Este, di Principe reale d’Ungheria e di Boemia, oltre che Duca di Modena. Il carattere statale dell’Ente si conferma con l’avvento del Regno d’Italia, con lo Statuto del 1860, e poi decisamente con gli statuti del 1910 e del 1934. Nella legislazione italiana ebbe costantemente un posto tra le primarie consorelle sottoposte alla disciplina governativa (fra le dieci reali accademie di prima categoria).

Il XX secolo

La Commissione per la riforma dello Statuto ribadì, nel 1910, il carattere statale della Accademia come ente di alta cultura: dalla ispirazione e protezione governativa alla approvazione degli statuti, dal titolo premesso alla denominazione, agli assegni annui sul bilancio dello Stato, dalla procedura per le nomine dei soci che si conclude con decreti statali, all’inserzione dell’elenco degli aggregati nelle pubblicazioni ufficiali, alla inclusione dell’Accademia tra i pubblici stabilimenti alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione. Il 5 Marzo 1959, in concomitanza con l’approvazione del nuovo Statuto, all’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena viene attribuito il titolo di Accademia Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti, con Decreto del Presidente della Repubblica”.

Per maggiori info, a questo link è possibile accedere al sito dell’ente

 

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Ancora 20 posti disponibili per la prima edizione dell’hackathon targato Lapam che si terrà nelle due giornate di MoRe Impresa Festival festival.

Innovazione, creatività e condivisione, sono queste le parole chiave che meglio esprimono l’esperienza di un hackathon, una maratona di cervelli dove ragazzi e ragazze si sfidano per cercare di trovare una soluzione ai grandi temi di attualità.

Così nasce MoRe Hack, la prima edizione dell’hackathon organizzato da Lapam Confartigianato Imprese Modena e Reggio Emilia, nell’ambito della due giorni del MoRe Festival del prossimo 13 e 14 dicembre 2019.

I temi di questa prima edizione riguarderanno:

– Il centro storico del futuro: come far sì che il centro storico torni ad essere il punto  nevralgico della vita cittadina, aiutando commercianti e artigiani a innovarsi anche creando sinergia tra fisico e digitale.

– Networking: Un’idea, un sistema o un metodo (digitale o no) per far si che le nostre imprese del territorio riescano a fare networking, conoscersi e avviare nuove collaborazioni B2B.

I  partecipanti, divisi in gruppi da cinque, avranno un giorno e mezzo per sviluppare uno di questi due temi con l’obiettivo di presentare la propria idea alla giuria Lapam e provare a vincere 5 tablet. 

Come partecipare?

L’hackathon è aperto a ragazzi e ragazze in un’età compresa tra i 18 e i  35 anni.
Per iscriversi clicca qui, c’è tempo sino al 20 novembre.

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Ospite di MoRe Impresa Festival, venerdì 13 dicembre, l’economista Veronica De Romanis non ha dubbi, la Legge di Bilancio abbozzata dal governo mette una grossa ipoteca sulle già incerte possibilità di ripresa economica. 

Professoressa De Romanis, dalla marcia indietro sulla cosiddetta “flat tax per le partita iva” ai tentativi – corretti in fretta – di aumentare la cedolare secca, passando per il pasticcio della plastic tax. come giudica sin qui il dibattito parlamentare sulla legge di bilancio per il 2020?

«Mi sembra che si parli solo di tasse in un Paese in cui la pressione fiscale è tra le più alte in Europa. Ciò che fa la manovra è sanare i conti del passato, perché più di due terzi delle risorse della legge di bilancio (23 miliardi su 30 complessivi ndr.), sono destinate a sterilizzare le famose “clausole di salvaguardia”. Poi ci sono tre miliardi destinati all’alleggerimento del cuneo fiscale da luglio 2020, 600 milioni che vanno alle famiglie e poco altro per spese inderogabili. Insomma davvero poco per la crescita».

Facciamo un passo indietro. Cosa sono queste “clausole di salvaguardia” contro l’aumento dell’Iva?

«Provo a spiegarmi. se voglio spendere per finanziare una misura ma non voglio trovare coperture nell’immediato, inserisco in bilancio una clausola che dice: “Le coperture delle misura sono un incremento dell’Iva, ma il mio impegno è quello di evitare questo aumento perché l’anno prossimo troverò una copertura (ossia aumenti di altre tasse, o tagli alle spese) che quest’anno non ho voluto trovare”. Vennero introdotte nel 2011 dal governo Berlusconi ma poi tutti i governi Letta, Renzi fino al Conte 1 ne hanno inserite di nuove. E, se vogliamo dirla tutta, sono un elemento poco trasparente nel nostro bilancio, perché non mostrano una relazione immediata tra quanto lo Stato incassa e quanto spende. Per questo la Commissione europea non le apprezza».

Come sono state disinnescate negli scorsi anni?

«Quasi sempre attraverso maggiore disavanzo, cioè aumentando il debito. Ricordiamo però che il nostro è il secondo debito pubblico in rapporto al pil più elevato in Europa dopo quello greco. quando arriva il momento in cui devono scattare gli aumenti Iva, lo Stato deve trovare enormi coperture – quest’anno sono appunto 23 miliardi – e come le trova? O con aumenti di tasse, o con tagli alla spesa corrente, o facendo nuovo debito. In quest’ultimo modo si sono mossi i governi dal 2011 ad oggi. Con l’eccezione del governo Monti, perché ha aumentato le tasse e del governo Letta, perché ha fatto aumentare l’Iva. Il governo che più di tutti ha messo clausole di salvaguardia è quello Renzi».

Un circolo vizioso che si rinnova di anno in anno dunque…

«Quest’anno vengono disinnescate aumentando il disavanzo. Poi si disinnescano parzialmente per i due anni a venire, ma restano circa 18 miliardi per il 2021 e 25 miliardi per il 2022. Quindi rischiamo seriamente di trovarci nella stessa situazione “Iva sì, Iva no” anche l’anno prossimo e con un Paese che continua a non crescere».

È evidente che alcune decisioni del governo bloccano una vera agenda di politica industriale. In particolare dalle colonne de “il Foglio” lei ha attaccato il reddito di cittadinanza, quota 100 e 80 euro. Perché?

«Lo stesso governo stima che l’impatto della manovra sulla crescita del Pil sarà dello 0,2% (stime aggiornamento documento economia e finanza, settembre 2019 ndr.). davvero troppo poco. Tuttavia non è stata prevista nessuna cancellazione, revisione o modifica delle tre misure bandiera. Soprattutto queste tre misure non incidono sulla vita di chi oggi ha veramente bisogno, giovani e famiglie. Quota 100 manda in pensione i 62enni, per lo più uomini impiegati della pubblica amministrazione. Non avvantaggia certo i giovani, o la staffetta generazionale. Anzi i giovani dovranno pagarne il costo. Sul reddito di cittadinanza poi i dati ci dicono che la maggior parte delle risorse va ai single, quindi non alle famiglie numerose e con serie difficoltà economiche. Aggiungo che non sta generando un ritorno sulle politiche attive del lavoro. Che compito stanno svolgendo i navigator? Infine gli 80 euro vanno a chi già ha un lavoro e quindi – di nuovo – non ai giovani che oggi sono in cerca di un’occupazione. Per concludere i sette miliardi di quota 100, gli altri sette per il reddito di cittadinanza e i 10 per gli 80 euro, generano una spesa di circa 20 miliardi senza un impatto reale sul Pil e senza aiutare chi si trova difficoltà».

E niente taglio al cuneo fiscale, così come richiesto da imprese e associazioni datoriali…

«L’errore è stato politico. Aumentare l’Iva è diventato un tabù. ma spiegare ai cittadini che la rimodulazione di alcune aliquote poteva sanare distorsioni su determinate tipologie di prodotti e contestualmente aiutare a disegnare una manovra pro crescita e un progressivo rientro del debito, sarebbe stato quanto meno necessario. Poi si poteva anche pensare a un piano di lungo termine di spending review volto a ridefinire i perimetri della spesa pubblica e il ruolo dello stato. Capire meglio chi fa cosa e come. Penso al dibattito – ormai dimenticato – sulla privatizzazione delle famose municipalizzate che qualche anno fa dovevano essere ridotte da 9mila a mille e di cui si è persa traccia…».

Più tasse e più controlli dunque. non sembra un programma elettorale vincente per PD e Cinque Stelle…

«La lotta all’evasione è sacrosanta, ovviamente. Ma quando il premier Conte parla di un “Patto con gli italiani” quest’ultimo dovrebbe almeno rispettare il criterio della credibilità. tutte le forze politiche al governo in passato hanno fatto dei condoni; anche i Cinque Stelle. alla luce di questo precedente e con l’aspettativa che prima o poi arriverà un condono, non convinci il cittadino a essere un contribuente  onesto. Aggiungo un secondo punto. I cittadini sono incentivati a pagare tutte le tasse se i proventi della lotta all’evasione vengono poi utilizzati per ridurre la pressione fiscale. Questo non avviene. Gli introiti da lotta all’evasione, circa 4 miliardi, servono per fare cassa e finanziare parte di quei famosi 23 miliardi di clausole . Infine sarebbe utile che un governo che dichiara lotta all’uso del contante e che per l’ennesima volta modifica le soglia di prelievo, fornisse un chiarimento sul reale impatto di questa misura. come di tutte le altre d’altronde».

Il ministro dell’economia Gualtieri aveva dichiarato di voler chiedere alla UE una revisione delle regole fiscali europee, svincolando il conteggio degli investimenti dal “Patto si stabilità e crescita”. Crede ci siano ancora i margini per questa richiesta che – è bene ricordarlo – prevede il consenso di tutti gli stati dell’Unione?

«Lei ha detto benissimo. Modificare le regole significa modificare i trattati e questo non può avvenire senza il comune consenso degli stati. ma questo dibattito è molto italiano. per gli altri governi non è una priorità. Il ministro Gualtieri vorrebbe maggiore flessibilità, ovvero più tempo per diminuire il disavanzo così come previsto da Bruxelles, ma l’Italia ha già goduto di maggiore flessibilità negli anni passati. Ne ha goduto anche il primo governo Conte, ritenuto nemico dell’Europa. Flessibilità significa maggiore tempo per rientrare nei paletti fissati dal fiscal compact, non prestiti o altro. ricordiamoci infine che siamo un’unione monetaria, cioè condividiamo la stessa moneta, ma non siamo un’unione fiscale. Abbiamo una sola moneta, una sola banca centrale, ma 19 ministeri dell’economia che possono decidere la loro politica fiscale in autonomia. questa aspetto, come dimostra il caso Grecia, ha però un impatto su tutti gli stati membri attraverso l’effetto contagio. anche per questo sarebbe bene trovare una strada che concilii crescita e rientro del debito. soprattutto in un momento di generale rallentamento del ciclo economico». 

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Un grande evento all’insegna del lavoro, delle imprese e del saper fare tipico della nostra terra.
Il 13 e 14 dicembre va in scena, nella suggestiva cornice dell’Accademia di Scienze, Lettere e Arti e in altri luoghi significativi della città di Modena, MoRe Impresa Festival, il primo festival organizzato da Lapam Confartigianato Imprese.

Due giorni di seminari, workshop, presentazioni di libri, con alcuni protagonisti del dibattito pubblico, aperti a tutta la cittadinanza. Partners dell’iniziativa il Comune e la Camera di Commercio di Modena, che sponsorizza l’evento, ma anche l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, che ha concesso il suo patrocinio.
Due giorni, costruiti attorno ai settori rappresentati maggiormente dalla nostra associazione, il manifatturiero e il commercio a cui si affiancherà un Hackathon rivolto a giovani under 35 che vorranno mettersi alla prova per sviluppare idee innovative al servizio di imprese e città.
Tra le iniziative da non perdere quella in compagnia dell’economista e direttore scientifico del Festival dell’Economia di Trento, Tito Boeri, presidente dell’INPS dal 2014 al 2019 intervistato dalla giornalista e corrispondente de “Il Sole 24 Ore” per l’Emilia Romagna, Ilaria Vesentini, venerdì 13 dicembre alle ore 19.00 in Camera di Commercio a Modena.

Commercio e artigianato al centro
Durante la due giorni si parlerà anche di artigianato e commercio e delle grandi trasformazioni che stanno interessando questi due comparti, sia sul fronte dell’innovazione di processo e di prodotto, sia su quello delle abitudini dei consumatori, sempre più propensi ad acquistare online e allo stesso tempo sempre più selettivi ed esigenti. Giampaolo Colletti, giornalista ed attento osservatore delle dinamiche che stanno interessando questo mondo ci guiderà insieme a Roberta Giani, direttore della Gazzetta di Modena, in un approfondimento dedicato, offrendo una utile panoramica su quanto sta accadendo nei negozi e nelle attività commerciali oltre confine.
Sul fronte dell’artigianato il professor Stefano Micelli, instancabile animatore di iniziative culturali, saggista vincitore del “Compasso d’oro” e apprezzato interprete di quanto sta accadendo dentro e fuori i laboratori e le officine italiane, presenterà alcuni casi nazionali e internazionali contenuti nel suo ultimo libro “Fare è Innovare. Il nuovo lavoro artigiano” (edizioni il Mulino).

Emilia Romagna, Italia, Europa
Grazie poi ai contributi della professor Franco Mosconi e del condirettore di “QN” Beppe Boni, analizzeremo il “caso Emilia Romagna” e le dinamiche di medio/lungo periodo che stanno trasformando la nostra regione in un eccezionale incubatore di innovazione ed esperienze aziendali in grado di attrarre talenti e imprese.

Non solo Emilia.
Grazie ai dati raccolti da Enrico Quintavalle, responsabile dell’Ufficio Studi di Confartigianato e all’analisi del professor Giulio Sapelli, raccolti in “Nulla è come prima” (edizioni Guerini e Associati) parleremo anche della situazione delle imprese italiane e delle ripercussioni che globalizzazione e crisi economica hanno avuto sulla spina dorsale del nostro sistema manifatturiero.Ripercussioni che misureremo anche grazie al prezioso contributo di Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis e curatore dell’annuale “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”. Valerii presenterà durante il festival il suo ultimo libro “La notte di un’epoca” (edizioni Ponte alle Grazie), un’analisi lucida e con inediti spunti filosofici sui cambiamenti che stanno trasformando la società italiana.

Dall’Italia passeremo poi a un contesto più ampio grazie all’evento che vedrà protagonista la professoressa Veronica De Romanis, editorialista de “il Foglio” e docente di Economia Europea. La professoressa De Romanis illustrerà, argomentando con dati e numeri, i reali rapporti che legano Italia ed Europa, commentando i temi di politica economica e di bilancio che interesseranno il Paese nell’anno che verrà.

Più competenti, più competivi
Dal titolo di uno dei workshop che avranno luogo nella due giorni di MoRe Impresa Festival, mutiamo un concetto fondamentale: la formazione per imprese e studenti.
Un tema che approfondiremo grazie al contributo del professor Michele Tiraboschi, docente di Diritto del Lavoro e direttore scientifico di Adapt.
Tiraboschi dialogherà con il professor Costantino Grana, membro di AImage Lab, laboratorio sull’intelligenza artificiale dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e a Federica Gherardi, coordinatrice di ITS Maker Modena, sul significato della didattica e sul rapporto tra scuola, università e imprese ai tempi di Industria 4.0.

I workshop aperti al pubblico.
Si parte venerdì 13 dicembre con un approfondimento sulle opportunità rivolte alle imprese, finanziate grazie ai contributi del Fondo Sociale Europeo, a cura di FORMart e del suo direttore, Elisabetta Pistocchi per continuare con alcuni tavoli tematici dedicati ad altri strumenti a disposizione delle imprese.
Insieme a Leonello Trivelli, ricercatore dell’Università di Pisa ed esperto sull’uso del Business Model Canvas (BMC), approfondiremo infatti le possibilità che il BMC offre ad aziende e start up nel focalizzare obbiettivi, partner e fattibilità di progetti ed idee.
Sabato 14 dicembre, insieme al professor Matteo Vignoli continueremo con un approfondimento dedicato al Design Thinking e alla creatività aziendale per concludere il ciclo di workshop con un evento dedicato al mondo delle start up, grazie agli interventi di Stefano Grillenzoni di Energy Way, realtà specializzata in analisi dei dati e Luigi Francesco Cerfada, socio fondatore di Zerynth, azienda specializzata nel fornire soluzioni digitali alle imprese metalmeccaniche.

Tutti gli eventi sono gratuiti e aperti al pubblico, sino ad esaurimento posti.

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Ospite di MoRe impresa Festival venerdì 13 dicembre alle ore 19.00 in Camera di Commercio a Modena, abbiamo raggiunto l’attuale presidente del Festival dell’Economia di Trento per capire il suo punto di vista su alcuni dei principali temi che riguardano il Paese.

Professor Boeri le associazione datoriali come Confartigianato sono contrarie ad una norma che stabilisca a priori come la paga di un lavoratore non possa essere inferiore a 9 euro lordi. Lei invece non sembra di questo avviso…

«Io penso che in Italia sia importante avere un salario minimo, perché in alcuni contesti ci sono lavoratori con paghe addirittura di 2/3 euro all’ora. Ritengo dunque che sia necessario stabilire dei minimi salariali in Italia, come ci sono in quasi tutti i paesi dell’Unione Europea. L’Italia è anzi tra i pochissimi che non ha un salario minimo orario. Penso quindi che sia un provvedimento giusto, di equità e attenzione nei confronti di queste fasce di lavoratori che sono ai margini del mercato del lavoro e in condizioni di sfruttamento. Tuttavia è fondamentale stabilire un livello di minimo salariale appropriato. Parlare di 9 euro lordi, o addirittura netti, è davvero fuori dal mondo. Soprattutto se consideriamo il costo del lavoro e della vita nel Mezzogiorno, dove ad esempio si ricorre molto a contratti part-time che in realtà sono full-time non dichiarati. Quindi il livello di salario minimo va stabilito con estrema attenzione».

Come si taglia il cuneo fiscale senza diminuire tutele e coperture previdenziali?

«Be’ credo che, soprattutto per i giovani, bisognerebbe prevedere una fiscalizzazione, un alleggerimento, della contribuzione. Cioè per chi inizia a lavorare prima è più alta, tendendo a scendere fino a raggiungere una soglia standard».

Corrisponde alla sua originaria proposta di contratto a tutele crescenti…

«Io avevo proposto un contratto a tutele crescenti che garantiva alle imprese costi certi sul licenziamento. Questo alleggerimento dei contributi relativo alle assunzioni a tempo indeterminato dei giovani, per cui vogliamo che i contributi vengano versati perché in un sistema contributivo altrimenti si ritroverebbero con delle pensioni molto basse, è sicuramente una proposta coerente con quel disegno».

Analogo spazio nel dibattito pubblico occupa anche il tema della contrattazione aziendale, ma per quanto ci riguarda l’accordo interconfederale siglato anche da Confartigianato nel 1992 prevede già la contrattazione di secondo livello, o territoriale. Alla luce della situazione odierna, come potrebbe essere sviluppato o migliorato?

«Innanzitutto è molto importante parlare di questo tema perché in questi anni se n’è parlato troppo poco, mentre è fondamentale. Io ritengo che si debba puntare in modo molto più deciso sul decentramento della contrattazione. È vero che quell’accordo prevedeva questa possibilità, ma sappiamo che non è mai decollato. Non è mai decollato per il semplice motivo che con la contrattazione decentrata è possibile intervenire soltanto a partire dai minimi fissati a livello nazionale. Può quindi essere ritoccato soltanto “in meglio” rispetto ai minimi fissati dalla contrattazione nazionale. Un datore di lavoro non ha così nessun incentivo a sedersi al tavolo della contrattazione, perché già sa che questo può portare unicamente ad un aumento dei salari dei lavoratori. Io ritengo, anche alla luce dell’esperienza tedesca dopo l’unificazione, che quando si opera in contesti che hanno fortissimi divari sia per quanto riguarda il costo della vita sia per quanto concerne la produttività, è importante avere margini per discutere riduzioni al di sotto del minimo stabilito a livello nazionale. Se noi compariamo i divari di produttività tra nord e sud d’Italia ci accorgiamo che non sono minori di quelli tra est e ovest tedesco. Ma nell’est tedesco c’è molta meno disoccupazione e molta più occupazione rispetto al sud del nostro paese. Questo avviene perché la contrattazione in Germania permette molta più diversificazione dei salari nominali rispetto al costo della vita e ai livelli di produttività».

Nel dibattito degli ultimi mesi si è inserito anche il tema dei contratti pirata, intese raggiunte da sigle sindacali spuntate dal nulla con associazioni imprenditoriali altrettanto improbabili. Un fenomeno che secondo i suoi calcoli, produce un danno erariale che sfiora i 3 miliardi di euro all’anno di minori contributi e agevolazioni indebite, e che interessa una platea di quasi 2 milioni di lavoratori. Misurare la reale rappresentatività di imprese e sindacati sta quindi divenendo un tema cruciale, come prova l’accordo siglato lo scorso 19 settembre da sindacati, Confindustria, Inps e Istituto nazionale del lavoro. Come si prosegue su questa strada?

«Io penso che l’accordo siglato da sindacati, Confindustria, Inps e Istituto nazionale del Lavoro sia molto importante. Avevo lavorato molto a quell’accordo e sono contento che, dopo essere stato osteggiato dal governo precedente, con l’avvio del nuovo esecutivo si sia arrivati alla firma. È anche un’operazione di grande trasparenza. Quell’accordo prevede infatti che i dati sulla rappresentatività vengano resi pubblici, sapremo quindi il grado di rappresentatività sia dei lavoratori sia delle organizzazioni datoriali. Detto questo io penso che quella sia una base utile per permettere di valutare quali sono i contratti di riferimento. Non credo invece che debba essere il presupposto per un’estensione erga omnes a tutti i lavoratori. Anche perché dal punto di vista giuridico non sarebbe ovvio come si può fare, essendo i confini tra i diversi settori spesso non ben determinati. Quindi è un’operazione di trasparenza che permetterà anche all’Inps di essere più efficace nella raccolta dei contributi e nella repressione dell’elusione contributiva. L’accordo chiarisce anche quali sono i rapporti di forza tra le organizzazioni dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro, ma non è la base per rafforzare ulteriormente la centralizzazione della contrattazione che invece, come detto poco prima, deve basarsi su altri presupposti».

Alla luce della trasformazione che sta investendo il mondo produttivo, crede che abbia ancora senso e se sì perché, la gestione separata INPS dei lavoratori autonomi da quella dei dipendenti?

«Io sono per unificare le pensioni, questo l’ho sempre detto. Quindi arrivare ad una situazione in cui le regole siano comuni a tutti i lavoratori. Mi sono molto battuto per favorire una mobilità tra gestioni diverse, dando la possibilità di mettere insieme contributi versati in gestioni diverse. Credo che negli ultimi anni qualche passo in avanti sia stato fatto in questa direzione e a mio giudizio la direzione di marcia dovrebbe essere quella di unificare le pensioni con l’idea di alleggerire progressivamente i contributi sul lavoro dipendente, favorendo un più rapido inserimento nel mercato del lavoro dei più giovani, con un più ampio utilizzo degli strumenti integrativi».

Da direttore scientifico del Festival dell’Economia di Trento ha anticipato molti degli argomenti che occupano la nostra quotidianità. Ecco alla luce dei venti recessivi che soffiano sull’Europa, di Brexit e della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, che 2020 si aspetta?

«Purtroppo ci sono molti fattori di incertezza all’orizzonte, quindi la cosa fondamentale è non aggiungerne ulteriori. Penso che per il nostro paese sia molto importante mettere in sicurezza i conti pubblici, evitare un ulteriore aumento del debito e cercare in tutti i modi di salvaguardare quel dividendo di credibilità che stiamo vivendo adesso con l’avvio del nuovo governo, con una forte riduzione dello spread e di quella tassa sul populismo che davvero non dobbiamo più pagare. Dopodiché il 2020 si avvia con una fase di rallentamento dell’economia mondiale, di difficoltà in Germania che condizionano anche noi. Mi sembra però di notare – per fortuna – una presa di consapevolezza da parte di coloro che possono intervenire, penso alla BCE o al governo tedesco, quindi mi auguro che la risposta politica sia adeguata».

Ultima domanda prima di rivederci a Modena il 13 dicembre. Se dovesse ripresentarsi una proposta per un incarico pubblico, dopo la presidenza dell’Inps, lei accetterebbe?

«Ho già tante decisione difficili quotidianamente, quindi fin tanto che non si presenta una simile richiesta non mi pongo il problema, diciamo così (ride). Poi sono appassionato e ho a cuore i problemi del nostro paese quindi se posso aiutare non mi tiro indietro».

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Giampaolo Colletti, ospite di More Impresa Festival venerdì 13 dicembre, ne conosce tanti: commercianti, artigiani, lavoratori autonomi che hanno saputo evolvere la propria attività o professione in anni di grande trasformazione.
Dopo aver fondato nel 2010 wwworkers (gruppo “il Sole 24 Ore”), la prima comunità italiana di professionisti digitali, Colletti continua a raccontare l’evoluzione di un mercato sempre più complesso e allo stesso tempo ricco di opportunità. Lo abbiamo raggiunto per capire il suo punto di vista sul commercio nell’epoca digitale.

In un recente articolo, titolato “Negozi con prossimità digitale” apparso su Il Sole 24 Ore dello scorso 11 luglio, lei utilizza il neologismo “iperlocalismo” per descrivere un’interessante contesto di concentrazione di servizi di prossimità. È la riscossa dei piccoli esercizi che si uniscono per creare sinergie?

«Sì, credo che sia il tratto distintivo dei piccoli negozi, che negli ultimi tempi hanno capito che fare rete può convenire e quindi in realtà stanno rafforzando l’identità iperlocale. Ma secondo me è anche il tratto distintivo negli ultimi anni anche dei grandi colossi della distribuzione, delle multinazionali che si stanno posizionando molto con operazioni che noi chiamiamo di “geolocalizazzione” quindi stanno rafforzando molto i territori. Non a caso un colosso come Amazon, nel mercato americano che di solito anticipa le tendenze di quello europeo, ha rilevato una cinquantina di piccoli esercizi commerciali per una distribuzione dei prodotti suoi di acquisto online. Quindi in realtà il rafforzamento dell’iperlocale, della geolocalizzazione è un fenomeno che si registra nei piccoli, ma attenzione anche nei grandi. Il pubblicitario Hugh MacLeod ha parlato di “global microbrand”, realtà che hanno radici ben piantate sul proprio territorio, ma la capacità di scalare i mercati grazie all’e-commerce, ai servizi a valore aggiunto, grazie alle App, grazie al racconto di quello che fanno sui social media. È questo che fanno oggi le realtà iperlocali di eccellenza, oltre ovviamente ad aggregarsi tra di loro».

Lei parla di ibridazione tra servizio e prodotto. Su quali servizi i commercianti debbono oggi puntare?

«Penso a una storia che ho raccontato anche nel mio libro “wwworkers” del gruppo “il Sole 24 Ore” e che parla proprio del contesto modenese post terremoto. Una storia che è nata a Solara di Bomporto dove una ragazza, Elisa Casumaro ha aggregato le 21 aziende casearie del territorio, quindi molto iperlocali, per vendere online le forme di Parmigiano Reggiano danneggiate dal terremoto. La storia che abbiamo raccontato al “Sole 24 Ore” poi è andata a finire al Tg1, è stata ripresa da “il Resto del Carlino”, insomma è stata molto raccontata ed è un classico esempio di come i nuovi fenomeni iperlocali si sviluppano dal concetto di fare rete, non come competitor ma come alleati. Le 21 aziende casearie hanno venduto 41mila forme di Parmigiano danneggiate dall’Australia agli Stati Uniti e questo grazie anche a una colletta online».

Un esercente che adotta un modello di business maggiormente consapevole ha possibilità di successo solo in grandi città come Milano o Torino, oppure anche in piccoli comuni da 10-20mila abitanti?

«No, io penso che abbia più successo nei piccoli contesti urbani o nei grandi contesti metropolitani che però sono frazionati. Milano per esempio realizza questa “alchimia” particolare perché i contesti territoriali vivono di aree specifiche ben delimitate, ma anche Roma con i rioni. Quindi la forza è che più si è piccoli, più si riesce a fare la differenza. Ma i mq del punto vendita si moltiplicano grazie ai servizi offerti dal digitale. Questo cosa significa? Che occorre vendere prodotti o servizi nel proprio punto vendita, ma posizionandosi anche online, attraverso vetrine gratuite come i social network, con servizi in mobilità come App a disposizione della cittadinanza e capendo che non basta più offrire il classico servizio di sempre, ma offrendo qualcosa in più.
Perché il cliente è molto connesso, molto più consapevole del passato anche se distratto e si aspetta qualcosa di più. Quindi riuscire a fare relazione digitale e infatti noi parliamo di prossimità digitale».

In questo senso, in che modo i Comuni possono favorire o comunque indirizzare gli imprenditori verso modelli di innovazione commerciale?

«Io penso che ci siano due attori che potrebbero fare di più. Uno sono le pubbliche amministrazioni che potrebbero favorire la creazione di network, anche attraverso una regolamentazione di questi reti e spesso lo fanno anche, agevolando i commercianti. Poi c’è un altro attore che voi rappresentate che sono le organizzazione di categoria. Allora lì la differenza la fa davvero chi porta le istanze degli esercenti alla classe politica, ma la differenza la fa anche chi porta modelli di riferimento internazionali e secondo me le associazioni dovrebbero riuscire a fare la differenza portando gli esempi di ciò che accade negli altri Paesi del mondo.
Il professor Stefano Micelli ha monitorato quello che avviene nelle piccole botteghe di tre grandi metropoli: Parigi, Londra e New York. Lì esiste una regolamentazione comunale che favorisce le piccole botteghe, la capacità di fare rete e una infrastruttura digitale e culturale. Se possiedi questo mix moltiplichi alla potenza il tuo metro quadro».

In che modo i commercianti possono tenersi aggiornati o mettere alla prova le loro idee?

«Innanzitutto capendo dove sta andando il mercato e comprendendo che il pubblico non è più indistinto. Cioè l’errore grande che fa spesso chi si occupa di commercio è quello d rivolgersi a pubblici indistinti e generalisti. La prima regola è quella che deriva da un grande teorico del marketing, Seth Godin, che sostiene che le realtà più illuminate, anche piccole, non aggregano folle indistinte ma aggregano tribù e micro tribù. Quindi comunità ristrette. Nel mio libro “Sei un genio! La rivoluzione degli artigeni, artigiani e lavoratori dalle idee geniali” (edizione Hoepli ndr.) dico che ogni commerciante, ogni esercente deve trovare la cosiddetta “idea wow”, cioè un’idea innovativa, di valore e utile alla collettività.
L’idea wow è quella che distingue un commerciante dall’altro e quindi parcellizza l’offerta e permette all’ecosistema di andare avanti. E poi, anche con il vostro aiuto, guardando cosa accade fuori confine».