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Tito Boeri: “Il lavoro sia la priorità del Paese”

Tito Boeri: “Il lavoro sia la priorità del Paese”

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Ospite di MoRe impresa Festival venerdì 13 dicembre alle ore 19.00 in Camera di Commercio a Modena, abbiamo raggiunto l’attuale presidente del Festival dell’Economia di Trento per capire il suo punto di vista su alcuni dei principali temi che riguardano il Paese.

Professor Boeri le associazione datoriali come Confartigianato sono contrarie ad una norma che stabilisca a priori come la paga di un lavoratore non possa essere inferiore a 9 euro lordi. Lei invece non sembra di questo avviso…

«Io penso che in Italia sia importante avere un salario minimo, perché in alcuni contesti ci sono lavoratori con paghe addirittura di 2/3 euro all’ora. Ritengo dunque che sia necessario stabilire dei minimi salariali in Italia, come ci sono in quasi tutti i paesi dell’Unione Europea. L’Italia è anzi tra i pochissimi che non ha un salario minimo orario. Penso quindi che sia un provvedimento giusto, di equità e attenzione nei confronti di queste fasce di lavoratori che sono ai margini del mercato del lavoro e in condizioni di sfruttamento. Tuttavia è fondamentale stabilire un livello di minimo salariale appropriato. Parlare di 9 euro lordi, o addirittura netti, è davvero fuori dal mondo. Soprattutto se consideriamo il costo del lavoro e della vita nel Mezzogiorno, dove ad esempio si ricorre molto a contratti part-time che in realtà sono full-time non dichiarati. Quindi il livello di salario minimo va stabilito con estrema attenzione».

Come si taglia il cuneo fiscale senza diminuire tutele e coperture previdenziali?

«Be’ credo che, soprattutto per i giovani, bisognerebbe prevedere una fiscalizzazione, un alleggerimento, della contribuzione. Cioè per chi inizia a lavorare prima è più alta, tendendo a scendere fino a raggiungere una soglia standard».

Corrisponde alla sua originaria proposta di contratto a tutele crescenti…

«Io avevo proposto un contratto a tutele crescenti che garantiva alle imprese costi certi sul licenziamento. Questo alleggerimento dei contributi relativo alle assunzioni a tempo indeterminato dei giovani, per cui vogliamo che i contributi vengano versati perché in un sistema contributivo altrimenti si ritroverebbero con delle pensioni molto basse, è sicuramente una proposta coerente con quel disegno».

Analogo spazio nel dibattito pubblico occupa anche il tema della contrattazione aziendale, ma per quanto ci riguarda l’accordo interconfederale siglato anche da Confartigianato nel 1992 prevede già la contrattazione di secondo livello, o territoriale. Alla luce della situazione odierna, come potrebbe essere sviluppato o migliorato?

«Innanzitutto è molto importante parlare di questo tema perché in questi anni se n’è parlato troppo poco, mentre è fondamentale. Io ritengo che si debba puntare in modo molto più deciso sul decentramento della contrattazione. È vero che quell’accordo prevedeva questa possibilità, ma sappiamo che non è mai decollato. Non è mai decollato per il semplice motivo che con la contrattazione decentrata è possibile intervenire soltanto a partire dai minimi fissati a livello nazionale. Può quindi essere ritoccato soltanto “in meglio” rispetto ai minimi fissati dalla contrattazione nazionale. Un datore di lavoro non ha così nessun incentivo a sedersi al tavolo della contrattazione, perché già sa che questo può portare unicamente ad un aumento dei salari dei lavoratori. Io ritengo, anche alla luce dell’esperienza tedesca dopo l’unificazione, che quando si opera in contesti che hanno fortissimi divari sia per quanto riguarda il costo della vita sia per quanto concerne la produttività, è importante avere margini per discutere riduzioni al di sotto del minimo stabilito a livello nazionale. Se noi compariamo i divari di produttività tra nord e sud d’Italia ci accorgiamo che non sono minori di quelli tra est e ovest tedesco. Ma nell’est tedesco c’è molta meno disoccupazione e molta più occupazione rispetto al sud del nostro paese. Questo avviene perché la contrattazione in Germania permette molta più diversificazione dei salari nominali rispetto al costo della vita e ai livelli di produttività».

Nel dibattito degli ultimi mesi si è inserito anche il tema dei contratti pirata, intese raggiunte da sigle sindacali spuntate dal nulla con associazioni imprenditoriali altrettanto improbabili. Un fenomeno che secondo i suoi calcoli, produce un danno erariale che sfiora i 3 miliardi di euro all’anno di minori contributi e agevolazioni indebite, e che interessa una platea di quasi 2 milioni di lavoratori. Misurare la reale rappresentatività di imprese e sindacati sta quindi divenendo un tema cruciale, come prova l’accordo siglato lo scorso 19 settembre da sindacati, Confindustria, Inps e Istituto nazionale del lavoro. Come si prosegue su questa strada?

«Io penso che l’accordo siglato da sindacati, Confindustria, Inps e Istituto nazionale del Lavoro sia molto importante. Avevo lavorato molto a quell’accordo e sono contento che, dopo essere stato osteggiato dal governo precedente, con l’avvio del nuovo esecutivo si sia arrivati alla firma. È anche un’operazione di grande trasparenza. Quell’accordo prevede infatti che i dati sulla rappresentatività vengano resi pubblici, sapremo quindi il grado di rappresentatività sia dei lavoratori sia delle organizzazioni datoriali. Detto questo io penso che quella sia una base utile per permettere di valutare quali sono i contratti di riferimento. Non credo invece che debba essere il presupposto per un’estensione erga omnes a tutti i lavoratori. Anche perché dal punto di vista giuridico non sarebbe ovvio come si può fare, essendo i confini tra i diversi settori spesso non ben determinati. Quindi è un’operazione di trasparenza che permetterà anche all’Inps di essere più efficace nella raccolta dei contributi e nella repressione dell’elusione contributiva. L’accordo chiarisce anche quali sono i rapporti di forza tra le organizzazioni dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro, ma non è la base per rafforzare ulteriormente la centralizzazione della contrattazione che invece, come detto poco prima, deve basarsi su altri presupposti».

Alla luce della trasformazione che sta investendo il mondo produttivo, crede che abbia ancora senso e se sì perché, la gestione separata INPS dei lavoratori autonomi da quella dei dipendenti?

«Io sono per unificare le pensioni, questo l’ho sempre detto. Quindi arrivare ad una situazione in cui le regole siano comuni a tutti i lavoratori. Mi sono molto battuto per favorire una mobilità tra gestioni diverse, dando la possibilità di mettere insieme contributi versati in gestioni diverse. Credo che negli ultimi anni qualche passo in avanti sia stato fatto in questa direzione e a mio giudizio la direzione di marcia dovrebbe essere quella di unificare le pensioni con l’idea di alleggerire progressivamente i contributi sul lavoro dipendente, favorendo un più rapido inserimento nel mercato del lavoro dei più giovani, con un più ampio utilizzo degli strumenti integrativi».

Da direttore scientifico del Festival dell’Economia di Trento ha anticipato molti degli argomenti che occupano la nostra quotidianità. Ecco alla luce dei venti recessivi che soffiano sull’Europa, di Brexit e della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, che 2020 si aspetta?

«Purtroppo ci sono molti fattori di incertezza all’orizzonte, quindi la cosa fondamentale è non aggiungerne ulteriori. Penso che per il nostro paese sia molto importante mettere in sicurezza i conti pubblici, evitare un ulteriore aumento del debito e cercare in tutti i modi di salvaguardare quel dividendo di credibilità che stiamo vivendo adesso con l’avvio del nuovo governo, con una forte riduzione dello spread e di quella tassa sul populismo che davvero non dobbiamo più pagare. Dopodiché il 2020 si avvia con una fase di rallentamento dell’economia mondiale, di difficoltà in Germania che condizionano anche noi. Mi sembra però di notare – per fortuna – una presa di consapevolezza da parte di coloro che possono intervenire, penso alla BCE o al governo tedesco, quindi mi auguro che la risposta politica sia adeguata».

Ultima domanda prima di rivederci a Modena il 13 dicembre. Se dovesse ripresentarsi una proposta per un incarico pubblico, dopo la presidenza dell’Inps, lei accetterebbe?

«Ho già tante decisione difficili quotidianamente, quindi fin tanto che non si presenta una simile richiesta non mi pongo il problema, diciamo così (ride). Poi sono appassionato e ho a cuore i problemi del nostro paese quindi se posso aiutare non mi tiro indietro».