Rassegna stampa

Gli articoli usciti sui giornali e le news su MoRe Impresa Festival


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Giampaolo Colletti, ospite di More Impresa Festival venerdì 13 dicembre, ne conosce tanti: commercianti, artigiani, lavoratori autonomi che hanno saputo evolvere la propria attività o professione in anni di grande trasformazione.
Dopo aver fondato nel 2010 wwworkers (gruppo “il Sole 24 Ore”), la prima comunità italiana di professionisti digitali, Colletti continua a raccontare l’evoluzione di un mercato sempre più complesso e allo stesso tempo ricco di opportunità. Lo abbiamo raggiunto per capire il suo punto di vista sul commercio nell’epoca digitale.

In un recente articolo, titolato “Negozi con prossimità digitale” apparso su Il Sole 24 Ore dello scorso 11 luglio, lei utilizza il neologismo “iperlocalismo” per descrivere un’interessante contesto di concentrazione di servizi di prossimità. È la riscossa dei piccoli esercizi che si uniscono per creare sinergie?

«Sì, credo che sia il tratto distintivo dei piccoli negozi, che negli ultimi tempi hanno capito che fare rete può convenire e quindi in realtà stanno rafforzando l’identità iperlocale. Ma secondo me è anche il tratto distintivo negli ultimi anni anche dei grandi colossi della distribuzione, delle multinazionali che si stanno posizionando molto con operazioni che noi chiamiamo di “geolocalizazzione” quindi stanno rafforzando molto i territori. Non a caso un colosso come Amazon, nel mercato americano che di solito anticipa le tendenze di quello europeo, ha rilevato una cinquantina di piccoli esercizi commerciali per una distribuzione dei prodotti suoi di acquisto online. Quindi in realtà il rafforzamento dell’iperlocale, della geolocalizzazione è un fenomeno che si registra nei piccoli, ma attenzione anche nei grandi. Il pubblicitario Hugh MacLeod ha parlato di “global microbrand”, realtà che hanno radici ben piantate sul proprio territorio, ma la capacità di scalare i mercati grazie all’e-commerce, ai servizi a valore aggiunto, grazie alle App, grazie al racconto di quello che fanno sui social media. È questo che fanno oggi le realtà iperlocali di eccellenza, oltre ovviamente ad aggregarsi tra di loro».

Lei parla di ibridazione tra servizio e prodotto. Su quali servizi i commercianti debbono oggi puntare?

«Penso a una storia che ho raccontato anche nel mio libro “wwworkers” del gruppo “il Sole 24 Ore” e che parla proprio del contesto modenese post terremoto. Una storia che è nata a Solara di Bomporto dove una ragazza, Elisa Casumaro ha aggregato le 21 aziende casearie del territorio, quindi molto iperlocali, per vendere online le forme di Parmigiano Reggiano danneggiate dal terremoto. La storia che abbiamo raccontato al “Sole 24 Ore” poi è andata a finire al Tg1, è stata ripresa da “il Resto del Carlino”, insomma è stata molto raccontata ed è un classico esempio di come i nuovi fenomeni iperlocali si sviluppano dal concetto di fare rete, non come competitor ma come alleati. Le 21 aziende casearie hanno venduto 41mila forme di Parmigiano danneggiate dall’Australia agli Stati Uniti e questo grazie anche a una colletta online».

Un esercente che adotta un modello di business maggiormente consapevole ha possibilità di successo solo in grandi città come Milano o Torino, oppure anche in piccoli comuni da 10-20mila abitanti?

«No, io penso che abbia più successo nei piccoli contesti urbani o nei grandi contesti metropolitani che però sono frazionati. Milano per esempio realizza questa “alchimia” particolare perché i contesti territoriali vivono di aree specifiche ben delimitate, ma anche Roma con i rioni. Quindi la forza è che più si è piccoli, più si riesce a fare la differenza. Ma i mq del punto vendita si moltiplicano grazie ai servizi offerti dal digitale. Questo cosa significa? Che occorre vendere prodotti o servizi nel proprio punto vendita, ma posizionandosi anche online, attraverso vetrine gratuite come i social network, con servizi in mobilità come App a disposizione della cittadinanza e capendo che non basta più offrire il classico servizio di sempre, ma offrendo qualcosa in più.
Perché il cliente è molto connesso, molto più consapevole del passato anche se distratto e si aspetta qualcosa di più. Quindi riuscire a fare relazione digitale e infatti noi parliamo di prossimità digitale».

In questo senso, in che modo i Comuni possono favorire o comunque indirizzare gli imprenditori verso modelli di innovazione commerciale?

«Io penso che ci siano due attori che potrebbero fare di più. Uno sono le pubbliche amministrazioni che potrebbero favorire la creazione di network, anche attraverso una regolamentazione di questi reti e spesso lo fanno anche, agevolando i commercianti. Poi c’è un altro attore che voi rappresentate che sono le organizzazione di categoria. Allora lì la differenza la fa davvero chi porta le istanze degli esercenti alla classe politica, ma la differenza la fa anche chi porta modelli di riferimento internazionali e secondo me le associazioni dovrebbero riuscire a fare la differenza portando gli esempi di ciò che accade negli altri Paesi del mondo.
Il professor Stefano Micelli ha monitorato quello che avviene nelle piccole botteghe di tre grandi metropoli: Parigi, Londra e New York. Lì esiste una regolamentazione comunale che favorisce le piccole botteghe, la capacità di fare rete e una infrastruttura digitale e culturale. Se possiedi questo mix moltiplichi alla potenza il tuo metro quadro».

In che modo i commercianti possono tenersi aggiornati o mettere alla prova le loro idee?

«Innanzitutto capendo dove sta andando il mercato e comprendendo che il pubblico non è più indistinto. Cioè l’errore grande che fa spesso chi si occupa di commercio è quello d rivolgersi a pubblici indistinti e generalisti. La prima regola è quella che deriva da un grande teorico del marketing, Seth Godin, che sostiene che le realtà più illuminate, anche piccole, non aggregano folle indistinte ma aggregano tribù e micro tribù. Quindi comunità ristrette. Nel mio libro “Sei un genio! La rivoluzione degli artigeni, artigiani e lavoratori dalle idee geniali” (edizione Hoepli ndr.) dico che ogni commerciante, ogni esercente deve trovare la cosiddetta “idea wow”, cioè un’idea innovativa, di valore e utile alla collettività.
L’idea wow è quella che distingue un commerciante dall’altro e quindi parcellizza l’offerta e permette all’ecosistema di andare avanti. E poi, anche con il vostro aiuto, guardando cosa accade fuori confine».