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Disegnare una nuova Italia

Disegnare una nuova Italia

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Federico Butera sarà nostro ospite il 30 novembre. Per iscriversi e partecipare all’evento è sufficiente cliccare qui

Da dove cominciare per disegnare una nuova idea di Paese? Lo abbiamo chiesto a Federico Butera che, nel suo ultimo libro “Disegnare l’Italia. Progetti e politiche per organizzazioni e lavori di qualità” (Egea 2023), sostiene una tesi interessante: per cambiare passo dobbiamo cambiare modello organizzativo, partendo proprio da alcuni esempi virtuosi tratti dal mondo dell’imprenditoria e della PA. La nostra intervista all’autore.

Professor Butera, in “Disegnare l’Italia” (Egea 2023) lei afferma che il cambiamento organizzativo di imprese e PA può avere la forza di cambiare il Paese. Da dove cominciare?
«Con dati ed esempi tratti dall’ultimo mezzo secolo che ha visto il progressivo ma non definitivo declino del taylor-fordismo, nel libro emerge che nelle migliori organizzazioni private e pubbliche (chiamiamole organizzazioni leader, organizzazioni champion) si è sviluppato un amplissimo repertorio di forme nuove di organizzazione e di lavoro in grado di creare valore e di assicurare prosperità alle organizzazioni e alle comunità e un’alta qualità della vita. Organizzazioni animate da lavoratori e manager qualificati e motivati. Esse però non si sono diffuse quanto e come potevano in modo da rispondere adeguatamente ai crescenti bisogni di produttività del sistema Paese e di generazione di lavori di qualità. E inoltre, esse non hanno dato luogo a un nuovo sistema di regolazione dell’economia e della società con adeguate istituzioni, strutture intermedie, soggetti collettivi. E soprattutto, non hanno creato condizioni diffuse di crescita umana e professionale».

Eppure sono casi virtuosi da cui trarre esempio…
«Sì. È necessario – e possibile – progettare organizzazioni e lavori di nuova concezione, generare nuovi meccanismi di regolazione sociale in un mondo che resterà altamente turbolento. Come e dove? Attraverso cantieri partecipati nelle singole imprese e Pubbliche Amministrazioni e attraverso politiche pubbliche centrate sul lavoro e dotate di investimenti e di programmi specifici».

Cosa intende per cantieri partecipati nelle singole imprese e Pubbliche Amministrazioni?
«Sono programmi e progetti in cui le singole organizzazioni private e pubbliche adottano una “sociotecnica 5.0” in grado di promuovere insieme la loro prosperità economica; un’alta qualità della vita alle persone; una marcata sostenibilità ambientale e sociale. E con questo assicurare la necessaria transizione green e digital. La sociotecnica 5.0 consiste nella adozione integrata delle tecnologie digitali abilitanti e di una “Intelligenza artificiale giusta”; nello sviluppo di  ecosistemi e di reti organizzative governate; nel potenziamento delle organizzazioni reali animate da team eccellenti; nel favorire la diffusione di ruoli aperti e professioni a larga banda; nella formazione continua per la tendenziale professionalizzazione di tutti».

E per quanto riguarda le politiche pubbliche di cui accennava sopra?
«I programmi di politiche pubbliche sono quelli che incentivano e supportano questi cantieri. Lo avevano fatto Roosevelt con il New Deal in USA, De Gasperi con la ricostruzione postbellica in Italia, Schimdt con la Mitbestimung in Germania, Clinton e Gore con il programma Reinventing Government in USA. Lo ha fatto negli scorsi anni la Regione Emilia Romagna con il Patto per il lavoro e per il clima».

C’è qualcosa di simile nel panorama attuale?
«Il PNRR. Il Piano di ripresa e resilienza tocca tutti i temi della rigenerazione delle organizzazioni pubbliche e private a cui abbiamo fatto riferimento, attraverso gli investimenti e le riforme concordate con l’UE. Per gestire tale volume e complessità di investimenti e per realizzare effettivamente le riforme, oltre a grande rigore e competenza amministrativa da parte delle istituzioni pubbliche, occorre suscitare coesione fra pubblico e privato e una forte spinta generalizzata all’innovazione: ce lo ha chiesto l’Unione Europea nella nota di accettazione del piano italiano del 22 giugno 2021. Su questa linea si muoveva il D.L. 77/2021, Governance del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e semplificazioni. Il PNRR ha messo insieme progetti grandi e piccoli in gran parte già predisposti dai Ministeri, dalle Regioni, dai Comuni. Questo inevitabilmente li ha resi non integrati invece che parte di processi e visioni organiche. Gli effetti economico-sociali degli investimenti non deriveranno automaticamente dall’erogazione dei fondi disponibili. Occorre superare il bias economicistico per cui le risorse generano di per sé il cambiamento. Occorre che pubblico e privato insieme affrontino l’«ultimo miglio» dei progetti: percorsi di attuazione andranno collocati in uno schema unitario entro cui primeggiano i due problemi chiave della «questione organizzativa» dell’Italia delle organizzazioni diseguali: la rigenerazione del sistema produttivo e la riorganizzazioni dell’apparato pubblico».

E quale giudizio dà dell’apporto del PNRR alla transizione digitale ed ecologica del Paese?
«Il modello di gestione del PNRR è il fattore chiave. Esso prevede due livelli. Il primo, centrale a livello nazionale, ha il compito di elaborare le strategie da attuare nei progetti d’investimento previsti dalle sei missioni e dalle sedici componenti in cui esse si articolano, secondo le direttive fissate dall’Europa con Next Generation EU. A livello centrale vanno monitorati gli impegni con l’Europa e i conti pubblici dello Stato. Il secondo livello è invece quello delle Amministrazioni responsabili dei singoli investimenti. Regioni, città metropolitane ed enti locali dovranno inviare i rendiconti alla struttura di coordinamento centrale. Malgrado le raccomandazioni dell’UE, il Governo, preoccupato della complessità amministrativa e dei ritardi nella esecuzioni dei progetti, ha proceduto ad un accentramento a livello nazionale, provocando reazioni preoccupate e proteste degli Enti Locali».

Arriviamo al nostro ambito. Quale ruolo devono avere le relazioni industriali e i corpi intermedi nel favorire la riorganizzazione del Paese?
«La proposta del libro è che il modello di gestione economico finanziaria policentrica del PNNR richiesto dalla UE non solo venga rispettato, ma venga anche integrato e vitalizzato da Patti territoriali per il lavoro e per il clima, a livello regionale e metropolitano consistenti nell’assunzione di proposte e impegni di soggetti pubblici e privati che operano nell’interesse proprio e del bene comune con un focus sulla creazione di lavoro e competenze di qualità. Ci sono esperienze italiane di successo che esemplificano questa proposta, fra cui il Patto per il lavoro dell’Emilia-Romagna che ha consentito di dimezzare la disoccupazione, di aumentare costantemente il valore aggiunto, di promuovere innovazione tecnologica. Lo abbiamo studiato a fondo e abbiamo estratto un metodo in sei punti, che riteniamo generalizzabile a tutte le Regioni, città metropolitane, territori».