Rassegna stampa

Gli articoli usciti sui giornali e le news su MoRe Impresa Festival


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Tre giorni di Festival, 9 sessioni, più di 250 imprenditori presenti, migliaia di visualizzazioni online. E, soprattutto, 130 classi collegate e otto presenti direttamente nella sede della Camera di Commercio.

Sono i principali numeri della seconda edizione di MoRe Impresa Festival, la kermesse proposta dalla nostra Associazione con il supporto di Camera di Commercio di Modena, FORMart e Fraer Leasing e con il patrocinio dell’Università di Modena e Reggio Emilia, del Comune di Modena e della Regione Emilia-Romagna.

Abbiamo voluto creare un evento che, in tre giorni molto intensi, potesse dare un quadro delle trasformazioni in atto nelle imprese: pensiamo alla digitalizzazione e alle nuove tecnologie, alle nuove dinamiche del lavoro, alla sostenibilità ambientale, alle sfide del commercio elettronico – sottolinea il presidente Gilberto Luppi -. Ma abbiamo voluto anche mettere al centro la formazione e l’orientamento, per incentivare la cultura del lavoro autonomo e per riaffermare che i lavori tecnici e le nostre officine e nelle imprese manifatturiere non somigliano nemmeno a quelle di 40 o 50 anni fa, inoltre abbiamo bisogno che tanti giovani inseguano il proprio sogno e intraprendano la strada del lavoro autonomo.

Il nostro segretario generale, Carlo Alberto Rossi, ribadisce il concetto:

MoRe Impresa è stata un’esperienza senz’altro utile per ragionare insieme sui grandi temi che riguardano l’impresa e il mondo del lavoro. Un modo per riaffermare come non esiste una crisi economico imprenditoriale, una ambientale, una sociale, ciascuna separata dalle altre: tutte sono connesse. Una visione integrale è quindi la chiave per trovare una soluzione ai problemi che stiamo affrontando. È questo, sicuramente, il nuovo paradigma culturale con cui dobbiamo cercare di offrire risposte agli imprenditori associati.

Tra gli interventi particolarmente significativi quelli di Davide Rampello, che ha rimesso al centro il saper fare artigiano, del giornalista Francesco Costa che ha ribadito l’importanza dell’essere informati per prendere le decisioni giuste, della professoressa Stella Gubelli che ha riproposto le sfide della sostenibilità a misura di PMI, dell’ex assessore di Milano Cristina Tajani e del sindaco Muzzarelli per disegnare città a misura di cittadini e imprese, di Gianluca Diegoli che ha spiegato l’e commerce per i piccoli esercenti, Morena Sartori che ha ricordato l’importanza degli ITS per la formazione post diploma, Valentina De Marchi che ha messo in evidenza le catene globali del valore e di come riavvicinare le produzioni, di Costantino Grana che ha parlato dell’innovazione come driver fondamentale.

Infine il professor Michele Tiraboschi, che ha lasciato una frase particolarmente significativa:

La cultura anti impresa è un disvalore; noi viviamo nel territorio della creatività, del creare qualcosa di grande partendo dal nulla.

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«Sono molto curiosi ma troppo spesso frustrati dai prodotti informativi» Luppi, presidente Lapam: «Uno scambio proficuo con il mondo del lavoro»

Tra le novità del Mo Re Impresa Festival il coinvolgimento delle scuole. Sono 113 le classi iscritte da istituti superiori della provincia di Modena: Fermi, Sigonio, Calvi, Vallauri, Fanti, Spallanzani e Da Vinci, oltre all’ Einaudi di Correggio.
La maggior parte delle classi seguirà gli eventi in streaming mentre alcune del Sigonio e del Fermi saranno anche in presenza.
L’ incontro più gettonato sarà quello di domani alle 9.30 con Francesco Costa, giornalista, scrittore e autore di podcast di grande successo:

«Secondo me tutti hanno bisogno di conoscere a fondo la realtà – osserva il vice direttore del Post – per i giovani una priorità in più è costruirsi momenti da dedicare all’ informazione, mentre oggi spesso si tratta di un’ esperienza casuale. Più sei informato più diventa più facile e appassionante informarsi, ma c’ è un tema: molti prodotti informativi non parlano la lingua dei giovani, non li toccano ma farlo aiuta ad approfondire».

Costa ha un pubblico tendenzialmente under 40 («per fortuna quando presento libri il pubblico è composto in gran parte di persone tra i 20 e i 35 anni e anche sui social sono sotto i 40») e sottolinea: «Vedo una fortissima curiosità nel cercare di capire il mondo, ma anche frustrazione perchè i prodotti informativi non parlano a loro». Il giornalista conclude parlando dell’ evento Lapam:

«Quando parliamo dell’ importanza dell’ informazione non lo facciamo per cultura generale, ma per avere strumenti per prendere decisioni informate. Conoscere cosa succede sul mercato del lavoro, ad esempio, l’ innovazione, i casi di successo, è importante e questo fa la differenza anche per le imprese. Un momento come quello che vivremorappresenta un’ occasione preziosa, un po’ inusuale se vogliamo ma necessaria».

Il presidente Lapam, Gilberto Luppi, allarga il ragionamento:

«C’ è necessità di uno scambio proficuo tra giovani e mondo del lavoro che ad oggi è troppo spesso assente e non solo a causa dei continui cambiamenti della normativa sulla cosiddetta alternanza scuola/lavoro. Le scuole e i più giovani non conoscono le potenzialità delle imprese e le aziende non sono agevolate nel costruire un dialogo continuativo con le istituzioni scolastiche. Come associazione siamo molto attenti a questo mondo, e pensiamo anche alla recente convenzione siglata con Cdr e FORMart».

Tra i partner dell’ iniziativa Lapam il Comune di Modena, il sindaco Muzzarelli spiega:

«Abbiamo bisogno di accelerare sugli assi della sostenibilità e sul digitale, e sulla formazione coinvolgendo le scuole. Grazie a Lapam per l’ opportunità».

La Camera di Commercio ospita la manifestazione e la sostiene. Il segretario generale Stefano Bellei, aggiunge:

«Fare rete tra diversi soggetti è decisivo: MoRe Impresa Festival è anche un momento di formazione sia per gli studenti che per gli imprenditori».

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L’ elemento chiave per le città del futuro? «La partecipazione». L’ ex assessore alle politiche del lavoro e al commercio di Milano Cristina Tajani dialogherà domani con il sindaco Gian Carlo Muzzarelli.
Il titolo scelto per l’ incontro alla Camera di Commercio (alle 20,30) ricalca un libro che è stato scritto dalla stessa Tajani: “Città prossime”.

«La città è oggi un laboratorio di nuove economie – esordisce Tajani – perché vi si concentra il più grande numero di persone, intelligenze e risorse economiche. Nascono così nuovi laboratori, nuovi processi produttivi relativi al commercio in una dimensione di trasformazione». L’ assessore indica un’ unione tra nuovo e antico nel definire alcuni modelli di tale trasformazione. «V’ è il tema degli spazi ibridi – illustra Tajani – cioè luoghi urbani in cui un’ attività commerciale si combina con quelle di natura sociale e culturale, producendo nuova economia. Vi sono poi attività in cui le nuove tecnologie si uniscono a processi produttivi antichi, come la nuova manifattura digitale».

L’ incontro rientra nel MoRe Impresa Festival 2021, organizzato da Lapam. Tajani riflette sulla “città dei 15 minuti”. «Tanti centri vi si stanno approssimando in questi anni – rimarca l’ assessore – Le attività di vicinato riducono la necessità di spostarsi da una parte all’ altra della città, producendo un dispendio di tempo ed emissioni». In tal senso, le nuove tecnologie contribuiscono alla sostenibilità.

«Sono fondamentali – garantisce Tajani – anche per una nuova configurazione intelligente del lavoro agile, lontano dalla gestione emergenziale».

Si torna così alla partecipazione.

«è un elemento di metodo che Modena conosce bene – conclude l’ assessore – è necessario costruire politiche pubbliche, rendendo co-decisori sia i cittadini sia i soggetti intermedi come le associazioni di categoria».

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Il festival che si tiene da oggi a venerdì nella sede camerale coinvolgerà tanti giovani delle scuole modenesi e reggiane

Torna a Modena da oggi a venerdì Mo Re Impresa Festival, il festival delle imprese che si svolge presso la Camera di Commercio di Modena, che è per l’ appunto la casa delle imprese modenesi.
Un’ iniziativa promossa da Lapam Confartigianato con il patrocinio di Regione Emilia-Romagna, UniMoRe, Comune di Modena, Adapt e con il sostegno economico della Camera di Commercio di Modena, Formart e Fraer Leasing, per parlare di lavoro e imprenditoria. Presidente e segretario Lapam, Gilberto Luppi e Carlo Alberto Rossi, presentano l’ iniziativa:

«Dopo il successo della prima edizione realizzata a dicembre 2019 e lo stop forzato imposto dalla pandemia nel 2020 – affermano i due dirigenti – siamo pronti per coinvolgere nuovamente il mondo delle imprese, i nostri associati e i principali attori del territorio, in un dibattito aperto sui grandi temi che interessano la nostra contemporaneità: sostenibilità ambientale, rapporto scuola lavoro, futuro del territorio, nuove tecnologie, made in Italy. Un’ occasione nata per raccogliere nuove idee e per meglio indirizzare la nostra azione di rappresentanza, con un’ importante novità rispetto al passato: il coinvolgimento diretto delle scuole secondarie di secondo grado delle due province in cui operiamo».

La seconda edizione di MoRe Impresa Festival inizia alle 20 di oggi, in Camera di Commercio, che ospiterà la tre giorni promossa da Lapam. Saranno presenti, oltre al presidente Lapam Confartigianato Gilberto Luppi, il sindaco di Modena Gian Carlo Muzzarelli, il presidente della Camera di Commercio di Modena Giuseppe Molinari, il pro rettore e vicario per la sede di Modena di UniMoRe professor Gianluca Marchi, il prefetto di Modena Alessandra Camporota, il colonnello dei Carabinieri Antonio Caterino, il comandante della Guardia di Finanza Adriano D’ Elia.
Sempre oggi alle 20.30 “Ben fatto! Come il made in Italy ha stupito il mondo”, con Ilaria Vesentini del Sole 24 Ore che intervista Davide Rampello, saggista, regista e autore televisivo, past president Triennale, curatore del padiglione Italia ad Expo 2015 e ad Expo 2020.
Domani apertura con Francesco Costa, giornalista e scrittore del Post, in dialogo con gli studenti delle scuole superiori di Modena nell’ appuntamento “Unire i puntini. Come leggere i fatti del giorno e interpretare la realtà”. Alle 11.30 “Sostenibilità ambientale e lavoro. Come affrontare la sfida del nostro tempo” con Stella Gubelli, responsabile Area consulenza Altis Università Cattolica e Giuseppe Sabella, direttore di Think Industry 4.0 e autore di “Ripartenza Verde”.
Alle 18 workshop con Gianluca Diegoli sull’ e-commerce, mentre alle 20.30 “Città prossime. Il futuro dei centri urbani e il loro rapporto con il territorio” con Cristina Tajani, ex assessora al Comune di Milano e autrice di “Città prossime”, e Gian Carlo Muzzarelli, sindaco di Modena a confronto con il giornalista e conduttore di Radio 1, Massimo Cerofolini, sulla relazione tra città e territorio e sui cambiamenti che li stanno trasformando.
Venerdì 15 ultima giornata aperta alle 9.30 da “Spazio ai giovani. Come cambiare il mondo del lavoro e creare futuro”, con Michele Tiraboschi, professore di Diritto del Lavoro all’ Università di Modena e Reggio Emilia a confronto con Morena Sartori, direttrice della Fondazione Fitstic.
Alle 11.30 “Ti racconto la mia impresa”, quattro storie d’ impresa raccontate ai più giovani. Elisabetta Pistocchi, direttore di FORMart, intervista quattro professionisti che hanno trasformato la propria passione in un mestiere.
Giovanni Panini di Ixoost, Nicolò Cipriani di Rifò, la guida ambientale Astrid degli Esposti e la make-up Artist Yenny Rosales.
Alle 15 “Catene globali del valore e sviluppo sostenibile.
Evoluzioni in corso e scenari possibili dopo l’ emergenza Covid-19”: Valentina de Marchi, docente dell’ Università di Padova, dialoga con Livio Lazzari, giornalista Lapam.
Infine, alle 18, “Il futuro del lavoro. Nell’ epoca dell’ intelligenza artificiale e dei big data”: Costantino Grana discute con Francesco Meoni, responsabile della Linea Pilota BI-REX, Competence center dell’ Emilia Romagna, e Gianluca Dotti, giornalista di Wired e Mediaset.
Il MoRe Impresa Festival sarà anche l’ occasione per proseguire il percorso del congresso Lapam, con lo spazio per le associazioni federate (Licom, Confartigianato e Aspim).

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Innovazione sostenibile o uscita dal mercato. Lo scrittore Giuseppe Sabella pone le aziende al bivio: evolvere in chiave “green” o rischiare di sparire.
L’ autore di “Ripartenza Verde” darà un proprio intervento nella giornata di domani alla Camera di Commercio per l’ incontro “Sostenibilità ambientale e lavoro”.

L’ evento partirà alle 11 e rientra nel MoRe Impresa Festival 2021. «Il sistema delle imprese italiane non ha ancora chiaro un concetto – analizza Sabella – ovvero che anche nelle piccole botteghe i consumatori chiederanno i prodotti riciclabili. Se saranno delusi, non torneranno più. In Italia il 95 per cento delle imprese ha meno di dieci addetti. Avviare un percorso di sviluppo sostenibile significa innovare in senso sia digitale sia energetico. Se non lo fa, un’ impresa rischia inevitabilmente di uscire dal mercato».
La ricetta è presto scritta.

«I ritardi non sono più sostenibili – prosegue l’ autore – Tutte le imprese dovrebbero andare dietro l’ innovazione digitale ed energetica, che è allo stesso tempo ecologica».

Sabella vive in Lombardia, ma conosce bene la realtà emiliana. L’ ex patron del Sassuolo Giorgio Squinzi ha scritto l’ introduzione del suo testo di esordio (“Da Torino a Roma”) e l’ autore apprezza l’ iniziativa portata avanti da Lapam.

«Servono più eventi del genere – ribadisce Sabella – Non sono stupito sia organizzato in Emilia Romagna, il territorio più capace e sensibile in Italia».

Sensibilità e ambiente forniscono un assist perfetto per discutere di nuove generazioni.

«I giovani sono da sempre i portatori d’ innovazione e idealità – spiega l’ autore – perché guardano al mondo e alla vita in un modo più ideale. L’ ambiente per loro è estremamente importante. Gli adulti si rendono ora conto che è un fattore ineludibile, i giovani lo sanno già».

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In vista dell’evento giovedì 14 ottobre a MoRe Impresa Festival, proponiamo l’articolo apparso su Gazzetta di Modena mercoledì 13 ottobre

«I lavori che verranno dovranno essere integrati sotto il profilo della sostenibilità: oggi più nessuno chiede a un colloquio se il candidato sa usare il computer, tra 20 anni e forse anche prima non si chiederà più se sarà formato sulla sostenibilità. E già oggi è determinante esserlo per tante professioni: penso a chi si occupa di acquisti, a chi fa comunicazione, a chi lavora sulle operation».

Stella Gubelli, ospite al MoRe Impresa Festival di Lapam domani alle 11.30 insieme a Giuseppe Sabella per parlare di sostenibilità e lavoro, non ha dubbi. La responsabile Altis (l’ Alta scuola di formazione sulla sostenibilità di Università Cattolica) prosegue:

«I lavori che sono in programma nella giornata di domani dovranno essere integrati con questa tematica, così come dovranno esserlo tutte le imprese, dalle più grandi fino alle piccole. La vera novità di questi ultimi 18 mesi è proprio questa: le piccole e medie imprese si stanno via via avvicinando alla sostenibilità e questa è la notizia migliore, perchè è risaputo che l’ Italia può vantare un tessuto molto ampio di piccole e medie imprese. Ma se è vero che le grandi, in generale, su questo tema hanno già all’ interno competenze e sanno di cosa si parla, per le piccole e medie è necessario partire dalla formazione e dalla consapevolezza. Ci sono tante pmi che si avvicinano al tema perchè spinte da clienti (penso all’ automotive, che nel vostro territorio è così importante, ma anche alla moda solo per fare un paio di esempi) ed è dunque importante far crescere la consapevolezza e fornire formazione».

è questo uno degli obiettivi del festival promosso che è stato dall’associazione Lapam:

«E poi – conclude Stella Gubelli – oltre alla formazione è decisivo passare dalla misurazione della sostenibilità per le pmi, per evitare che ci si fermi alla superficie».

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In vista dell’evento giovedì 14 ottobre a MoRe Impresa Festival, riproponiamo – con il consenso dell’autrice – l’articolo di Cristina Tajani, apparso sul Sole 24 Ore di mercoledì 4 agosto, sul futuro delle città. Un contributo importante che riguarda anche città medio piccole, come Modena e Reggio Emilia, collegate da un “corridoio” (la via Emilia ndr.) strategico, ma non per questo sufficiente a garantire il benessere delle sue aree interne.

Densità, massa critica, produttività, circolazione della conoscenza e stipendi più alti del 20% rispetto alle zone rurali sono gli ingredienti del finora indiscusso successo delle città-mondo. Un’affermazione tale da aver spinto l’Ocse a definire «The Metropolitan Century» il tempo in cui ci è dato vivere. Secondo le previsioni dell’organizzazione con base a Parigi che riunisce i principali Paesi industrializzati in cui opera un’economia di mercato, le città abitate da più di dieci milioni di persone diventeranno 41 entro il 2030; se oggi ospitano oltre il 50% della popolazione mondiale, nel 2100 arriveremo all’85%: ben nove miliardi di abitanti calcheranno allora il suolo delle metropoli.

Eppure alla luce dello shock impresso dalla pandemia è inevitabile porre in discussione queste previsioni, sottoponendole a un vaglio critico. L’interruzione brusca – e, dopo oltre un anno, dobbiamo dire anche duratura – del traffico aereo; i colpi inferti alle attività fieristiche, al sistema dell’accoglienza, all’offerta culturale, al Pil e al reddito pro capite; il calo dell’occupazione, l’effetto del lavoro da remoto sui
city user, che fino al 2020 erano pendolari e oggi, almeno per una certa quota, esercitano il proprio mestiere fuori dal confine amministrativo: tutto ciò ha colpito le città sull’intera superficie del globo.
Ha senso domandarsi se, realizzandosi il meno desiderabile tra gli scenari, cioè una lunga permanenza del Covid-19 nelle nostre vite, non possa ripetersi ciò che accadde fra IV e VIII secolo: lo spopolamento, e in alcuni casi la scomparsa, delle città europee? Fronteggeremo una nuova epoca di «città retratte»?

Alla vigilia di importanti elezioni amministrative (Torino, Milano, Bologna, Roma, Napoli e, oltreoceano, New York sceglierà il suo prossimo sindaco a novembre) è corretto esercitare il dubbio. Dopo aver scandagliato la vita delle metropoli scosse dalla crisi potremmo scoprire che le città vincono ancora. A condizione che si dispieghino le opportune strategie
di adattamento.

La scala è il primo grande discrimine: le osservazioni macro-geografiche e quelle micro-geografiche possono rivelare dinamiche diverse. Nella nostra ottica, la seconda prospettiva è la più interessante, perché sollecita chi voglia progettare politiche territoriali adeguate alla realtà e al ruolo atteso per le città che verranno.

Nell’articolo “Cities in a Post-Covid World”, Richard Florida, Andrés Rodríguez-Pose e Michael Storper ipotizzano che, a scala macro-geografica, la tendenza winner-takes-all che ha caratterizzato le relazioni tra metropoli e resto del mondo fino alla pandemia non subirà rilevanti cambiamenti.

La maggior parte delle città medie e di quelle rurali perderanno probabilmente di più. Ecco affacciarsi il tema della «vendetta dei luoghi che non contano», ovvero della irrisolta tensione tra metropoli e territori non metropolitani, rappresentata emblematicamente dagli accadimenti di questi anni: divaricazione dei redditi, inurbamento degli individui ad alta qualificazione, rivolta di tutto ciò che città non è, simboleggiata dai gilet gialli che si scaricano su Parigi. Fino a riflettersi nella costante difformità nei comportamenti elettorali «tra città e contado».


Proveniente più dalla sfera del politico che da quella dell’economico, il populismo ha preso piede in molti di questi centri spossessati di ruolo. Più ci si allontana dai luoghi dove i flussi si addensano, dove i media si concentrano, le infrastrutture digitali abbondano e i capitali si accumulano – insomma, più ci si allontana dalle grandi città – più sfuggevole diventa per le persone percepire il proprio ruolo e la propria influenza sui grandi processi collettivi.


Questa considerazione rende duplice la sfida che attende i sindaci di tutto il mondo: da un lato quali “strategie di adattamento” mettere in campo all’interno dei confini amministrativi per limitare l’impatto economico della pandemia e favorire la coesione sociale; dall’altro come riconciliare le città con ciò che città non è, ovvero con i territori produttivi da cui arrivano le merci, i beni alimentari, i semilavorati, persino i cervelli. Nella consapevolezza che le disuguaglianze con i territori circostanti non giovano alle città, così come le polarizzazioni interne tra lavoro e rendita.

Questo articolo è apparso sul Sole 24 Ore il 4 agosto scorso. 

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Con la rubrica di Striscia la Notizia “Paesi e Paesaggi” Davide Rampello ha portato nelle case degli italiani il meglio del saper fare italiano. Con “L’Italia fatta a mano. Beni culturali viventi”, il suo ultimo saggio pubblicato da Skira, ha ricostruito in modo originale la storia di questo inestimabile patrimonio. Grazie ai padiglioni Expo da lui curati (Shangai, Milano, Dubai) ha coinvolto migliaia di persone in un racconto sensoriale dell’Italia di grande impatto. Un lavoro encomiabile che lo rende uno dei più stimati e riconoscibili ambasciatori del made in Italy nel mondo. Lo abbiamo intervistato in vista della serata di apertura di MoRe Impresa Festival, mercoledì 13 ottobre. 

Professor Rampello, nei suoi interventi e nel suo ultimo libro, lei parla di beni culturali viventi. Cosa intende?
«Mi riferisco ad uno dei grandi patrimoni del nostro Paese. Noi abbiamo i beni culturali e i beni culturali viventi. Abbiamo i beni paesaggistici, i beni immateriali e i beni viventi. Quelle donne e quegli uomini che hanno accumulato, rielaborato, re-interpretato saperi e “saper fare”, in un modo ricco di intelligenza e sensibilità. Hanno perciò rispettato fino in fondo il concetto di tradizione che la cui etimologia proviene dal verbo latino “tradere” cioè “portare di qua”. Queste donne e uomini straordinari hanno portato nel nostro presente i saperi, i gesti che i loro padri, i loro nonni, hanno consegnato loro. Ma con la capacità di sapere valorizzare, attualizzare questi antichi saperi. È così che la ricetta della nonna si rinnova perché gli ingredienti sono diversi, o perché i gesti, le mani della nipote si muovono in modo diverso da quelli della nonna o perché è diverso il forno e così via…». 

C’è poi anche dimensione etica attorno al lavoro artigianale e manuale. Fare le cose aiuta a pensare e, come suggerito da Richard Sennett, ad essere cittadini, uomini e donne migliori.
«È questo che è fondamentale, la dimensione etica che li guida. Perché quando mi trovo a parlare con un contadino, con un artigiano, con un agricoltore, io non mi permetto mai di parlare di sostenibilità o economia circolare. Sono loro che la insegnano a me. Dico queste due parole perché sono sulla bocca di tutti, ma la vita contadina, la vita artigiana, è sempre stata all’insegna del non spreco. Della grande attenzione di ciò che circonda, al riciclo costante e favorire i cicli naturali. La sapienza che ha il pescatore quando pesca in modo da non depauperare il giacimento, perché ha chiaro il patrimonio cha ha a disposizione, sapendo che esso va mantenuto per sé, per i figli e per i nipoti che verranno». 

Eppure le realtà di cui lei parla nella rubrica di Striscia la notizia “Paesi e Paesaggi”, sono trascurate dai media e dalla politica nostrana… pensiamo invece a ciò che accade in Francia o Giappone, o nel mondo anglosassone, giusto per fare alcuni esempi virtuosi di valorizzazione dei saperi. Perché?
«Questo fa parte della poca intelligenza e della poca sensibilità di certa politica e informazione. Ma ora, dopo i grandi stilisti, le archistar e gli chef, è venuto il momento dei grandi artigiani. Bisogna aprire loro la scena. Innanzitutto perché sono il vero patrimonio del made in Italy, non a caso i grandi marchi di moda sempre di più hanno bisogno di personalizzare e vanno da chi ha le mani e la sensibilità per accontentarli. E nel libro “L’Italia fatta a mano” (Skira 2019) racconto tutto questo, come il vero DNA italiano». 

Eppure nella rivalutazione del lavoro artigiano molti vedono una battaglia di retroguardia. Una difesa della “tradizione” purchessia…
«La gente pensa che la tradizione sia fermare, cristallizzare il tempo. Questa è una idiozia. Come dicevo la parola tradizione ha la stessa radice di “traduzione” o anche di “tradimento”, vuol dire portare di là, trasportare al di là. Infatti tradurre qualcosa vuol dire portare da una lingua ad un’altra concetti, pensieri, racconti… La tradizione è innovazione. Da un punto di vista del mercato non c’è mai stato tanto denaro nel mondo. Non c’è mai stata tanta gente pronta a valorizzare esperienze come queste. Sta quindi a noi valorizzare questo patrimonio. Di fatti io non dico piccolo è bello, ma piccolo è prezioso. Se un artigiano fa solo 1.000 forme di formaggio, ma queste sono straordinarie, queste forme invece di costare 10 costano 100 e c’è chi è disposto a comprarle.
Il tema della valorizzazione e il tema di creare reti preferenziali per mercati alti è fondamentale. Tra l’altro noi abbiamo un’industria agroalimentare e un industria della moda e del design così straordinaria, proprio perché abbiamo questi benchmark. Se non avessimo il confronto con l’altissima qualità non avremmo tutti questi straordinari ambasciatori del made in Italy. L’industria agroalimentare ha poi ancora il valore più importante in assoluto: il sapore. Senza sapore, non c’è sapere. Non c’è desiderio». 

In una recente intervista Marco Montemagno le ha rivolto una domanda che ho trovato molto interessante e che vorrei riproporle per i nostri lettori. Quanto è scalabile a suo avviso la qualità?
«Questo dipende dall’impegno dell’imprenditore. Ma se pensiamo all’industria della moda o del design o anche a certa industria dell’automotive, penso a Pagani, o alla scelta di costruire la supercar elettrica a Reggio Emilia, troviamo dei protagonisti straordinari in questo senso». 

Senta, ma oggi è davvero possibile invogliare i più giovani (il vero target del nostro festival) a intraprendere mestieri legati alla terra e al lavoro manuale?
«Abbiamo distrutto le scuole professionali in nome di non si sa bene cosa. Ma se è vero che viviamo in una cultura complessa è anche evidente che bisogna formarsi di più e lavorare meglio. L’uomo se non ama ciò che fa si sfalda. Oggi c’è un mercato enorme per attualizzare le scuole professionali e dei mestieri. Perciò il concetto di impresa è quello di reinvestire, di costruire, di progettare e non di fare per “bruciare” al momento. Penso che se adeguatamente spiegati questi concetti siano ancora assolutamente attuali e invoglianti». 

Grazie al suo lavoro, o a quello di alcune importanti fondazioni, abbiamo assistito negli ultimi anni al fiorire di iniziative e manifestazioni dedicate al “sapere fare”. A suo avviso, le associazioni datoriali che ruolo potrebbero giocare a supporto di queste iniziative?
«Non sono all’altezza di quello che sta succedendo. Sono troppo burocratizzate e soprattutto non hanno la sensibilità per capire. Bisogna svegliare e darsi da fare, continuare instancabilmente, però qualcosa si muove. Girando l’Italia ho visto tanti giovani e tante persone che stanno tornando alla terra. Accanto a questo grande tema della digitalizzazione, dovrebbe esserci attenzione verso la valorizzazione di questi straordinari “capitali umani”.

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Tutto pronto per la seconda edizione del festival, organizzato da Lapam Confartigianato Imprese con il patrocinio di Regione Emilia Romagna, Comune di Modena e Università di Modena e Reggio Emilia e con il contributo della Camera di Commercio di Modena e che offrirà ad imprese, cittadini e studenti delle scuole superiori del territorio uno spazio di riflessione sui grandi temi del lavoro e del fare impresa. 

Appuntamento da mercoledì 13 ottobre presso la sala Leonelli della Camera di Commercio di Modena (in via Ganaceto 134) in presenza, nel rispetto delle normative anti-Covid, e in streaming sui nostri canali social.

Il programma

Dopo l’interruzione dovuta alla pandemia, il festival torna quindi nella città estense con un palinsesto ricco di eventi pensati per mettere a fuoco i grandi temi che ruotano intorno al mondo del lavoro e delle piccole e medie imprese italiane e per promuovere la cultura del lavoro autonomo. In particolare quelli della sostenibilità ambientale, del rapporto tra scuole e lavoro e tra città e territorio. Ma non solo. L’edizione 2021 del festival è dedicata ai più giovani. Le scuole locali sono infatti state coinvolte attivamente nell’organizzazione dell’evento, per permettere a studentesse e studenti delle scuole superiori di Modena e Reggio Emilia di assistere in presenza e in streaming a tutti gli eventi promossi in occasione del festival. 

Un modo per renderli protagonisti del dibattito pubblico che riguarda il futuro del nostro Paese e metterli in contatto diretto con opinionisti, giornalisti, intellettuali e politici a cui potranno rivolgere domande e presentare proposte. 

Gli ospiti

Tra gli ospiti dell’edizione 2021, Davide Rampello, saggista, autore televisivo, ex presidente della Triennale di Milano e curatore del padiglione Zero ad Expo 2015 e del padiglione Italia ad Expo Dubai 2020; Francesco Costa, saggista, podcaster, vicedirettore del Post; Costantino Grana professore ordinario presso il Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” e Presidente del Consiglio dei Corsi di Studio in Ingegneria Informatica; Cristina Tajani, assessora alle Politiche del Lavoro, Attività Produttive, Commercio e Risorse Umane del Comune di Milano e autrice di “Città Prossime. Dal quartiere al mondo. Milano e le metropoli globali” e tanti altri; Gianluca Diegoli, tra i più conosciuti esperti di strategia digitale e marketing in Italia e co-fondatore di Digital Update; Michele Tiraboschi, giuslavorista e professore ordinario di diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia; Ilaria Vesentini, giornalista e corrispondente del Sole 24 Ore per l’Emilia Romagna; Gian Carlo Muzzarelli, sindaco di Modena; Stella Gubelli, responsabile area Consulenza, ALTIS Università Cattolica del Sacro Cuore; Giuseppe Sabella, direttore Think Industry 4.0 e autore di “Ripartenza verde”.